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Zampogna a Paru Siciliana

Con la fine del feudalesimo in Sicilia, nel 1812, fu possibile uscire gradualmente dallo stretto ambito feudale, rompere anche l’isolamento culturale e la diffidenza e così i malettesi cominciarono ad andare negli altri paesi della provincia: nella città di Catania e successivamente, durante la seconda metà del 1900 anche nelle altre parti della Sicilia, in occasione della novena di Natale e per S. Giuseppe, a suonare la ciaramella.
Però, sin dalla sua origine, questa attività esterna, non fu consentita ai pastori poiché non potevano lasciare incustodito il gregge neppure per un giorno. È per questo che a Maletto toccò ai contadini esportare in città, durante la novena di Natale, le note dello strumento dei pastori. Solo questa categoria può sospendere senza danno il lavoro nei campi per 10-15 giorni e procurarsi per di più un guadagno monetario supplementare e immediato nel lungo e rigido inverno, rispetto a quello, lontano, che verrà dai raccolti.
Così quasi tutti i contadini di Maletto divennero anche ciaramellari e si munirono dello strumento originariamente portato dai pastori o che, seguendo le origini continuava a provenire dai paesi della provincia di Messina. Tale attività andò via via incrementandosi e i ciaramellari andarono in massa a Catania a suonare le struggenti e caratteristiche note per annunciare la nascita del Bambin Gesù durante la novena di Natale, dinanzi ai presepi allestiti dalle famiglie o negli esercizi commerciali e per San Giuseppe. Consentiva un guadagno supplementare che fino a qualche decennio addietro costituiva per molti l’unica risorsa in denaro e una non indifferente voce di entrata per l’intera economia del paese.
Prima del 1895, anno in cui entrò in funzione il treno della Ferrovia Circumetnea, i ciaramellari partivano da Maletto, ai primi di dicembre, subito dopo la mezzanotte, a gruppi o a dorso d’asino, verso la città deve giungevano nel pomeriggio del giorno successivo. Giunti a Catania, consegnavano gli asini all’asinaio che aveva il compito in un primo momento di ricondurre le bestie a Maletto e, finita la novena, il giorno di Natale, di tornare a Catania con gli asini a prelevare i ciaramellari. Questi tornavano a casa, oltre che con i soldi ricevuti dai clienti, anche con molti regali, frutta e dolci per i bambini.
Il ciaramellaro vestiva la “cappuccia”, un lungo e pesante mantello di “drappu”, cioè la lana di pecora opportunamente trattata per combattere il freddo, guarnita di cappuccio. Si copriva il capo con la “birritta”. Calzava le “zampitte”, cioè scarpe ricavate da un pezzo di cuoio di vacca con lunghe stringhe che andavano legate attorno ai polpacci. Oggi questo abbigliamento è riprodotto dai moderni ciaramellari per motivi folcloristici.
Anche Vincenzo Bellini subì il fascino delle melodie che emanavano le ciaramelle di Maletto. Già nel natale del 1812, davanti ad un icona nel cortile della sua casa, ascoltando le struggenti note dello strumento suonato da un contadino di Maletto, provò egli stesso a suonarlo. In proposito il musicologo Enrico Failla scrive sull’influenza che la ciaramella ebbe nella formazione musicale di Bellini, “…con la sua voce timbricamente compresa tra quella dei cromorni e degli oboi, ha avuto un ruolo importantissimo… nella formazione Belliniana, in una misura che riguarda non solo la qualità del suono… ma soprattutto… quella che può essere definita la marca Belliniana, cioè il carattere particolare del rapporto melodia armonia” definendolo, in fine “zampognaro nel melodramma”.
Però, sin dalla sua origine, questa attività esterna, non fu consentita ai pastori poiché non potevano lasciare incustodito il gregge neppure per un giorno. È per questo che a Maletto toccò ai contadini esportare in città, durante la novena di Natale, le note dello strumento dei pastori. Solo questa categoria può sospendere senza danno il lavoro nei campi per 10-15 giorni e procurarsi per di più un guadagno monetario supplementare e immediato nel lungo e rigido inverno, rispetto a quello, lontano, che verrà dai raccolti.
Così quasi tutti i contadini di Maletto divennero anche ciaramellari e si munirono dello strumento originariamente portato dai pastori o che, seguendo le origini continuava a provenire dai paesi della provincia di Messina. Tale attività andò via via incrementandosi e i ciaramellari andarono in massa a Catania a suonare le struggenti e caratteristiche note per annunciare la nascita del Bambin Gesù durante la novena di Natale, dinanzi ai presepi allestiti dalle famiglie o negli esercizi commerciali e per San Giuseppe. Consentiva un guadagno supplementare che fino a qualche decennio addietro costituiva per molti l’unica risorsa in denaro e una non indifferente voce di entrata per l’intera economia del paese.
Prima del 1895, anno in cui entrò in funzione il treno della Ferrovia Circumetnea, i ciaramellari partivano da Maletto, ai primi di dicembre, subito dopo la mezzanotte, a gruppi o a dorso d’asino, verso la città deve giungevano nel pomeriggio del giorno successivo. Giunti a Catania, consegnavano gli asini all’asinaio che aveva il compito in un primo momento di ricondurre le bestie a Maletto e, finita la novena, il giorno di Natale, di tornare a Catania con gli asini a prelevare i ciaramellari. Questi tornavano a casa, oltre che con i soldi ricevuti dai clienti, anche con molti regali, frutta e dolci per i bambini.
Il ciaramellaro vestiva la “cappuccia”, un lungo e pesante mantello di “drappu”, cioè la lana di pecora opportunamente trattata per combattere il freddo, guarnita di cappuccio. Si copriva il capo con la “birritta”. Calzava le “zampitte”, cioè scarpe ricavate da un pezzo di cuoio di vacca con lunghe stringhe che andavano legate attorno ai polpacci. Oggi questo abbigliamento è riprodotto dai moderni ciaramellari per motivi folcloristici.
Anche Vincenzo Bellini subì il fascino delle melodie che emanavano le ciaramelle di Maletto. Già nel natale del 1812, davanti ad un icona nel cortile della sua casa, ascoltando le struggenti note dello strumento suonato da un contadino di Maletto, provò egli stesso a suonarlo. In proposito il musicologo Enrico Failla scrive sull’influenza che la ciaramella ebbe nella formazione musicale di Bellini, “…con la sua voce timbricamente compresa tra quella dei cromorni e degli oboi, ha avuto un ruolo importantissimo… nella formazione Belliniana, in una misura che riguarda non solo la qualità del suono… ma soprattutto… quella che può essere definita la marca Belliniana, cioè il carattere particolare del rapporto melodia armonia” definendolo, in fine “zampognaro nel melodramma”.
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Desta emozione e suggestione sapere che le ciaramelle di oggi sono le stesse che furono portate nel 1600 a Maletto dai progenitori e che sono state usate e suonate da otto o dieci generazioni di malettesi. È una continuità culturale e si potrebbe osare dire etnica, unica ed irripetibile che alla fine distingue gli appartenenti a questa comunità. L’identificazione e l’attaccamento è stato, in taluni casi, tale che qualche emigrato degli inizi del secolo, per le Americhe e poi per l’Australia, ha portato con sé la sua ciaramella, che ha fatto poi ritorno con lo stesso proprietario o con altri. Come pure desta dolore e dispiacere sapere che numerose ciaramelle sono state vendute a forestieri, che non capendone e rispettandone il profondo significato le tiene appese nei salotti come cimeli. Frutto di una moda che per diversi anni ha cercato di eliminare tutto quanto riportava alla memoria le origini e le radici dei popoli, distruggendo così i valori che per secoli erano stati alla base dell’esistenza e della convivenza di intere civiltà, abbagliati dall’avere immediato ed effimero e non dall’essere che qualifica la vera dimensione dell’uomo. Purtroppo questa tendenza, condizionata dai falsi valori di oggi, è ancora in atto ed è dura fatica contrastarla.
Solo in poche località della Sicilia si possono trovare ancora zampogne e zampognari in particolare nella Sicilia orientale. Strumenti e suonatori sopravvivono in diversi paesi all' interno della provincia di Messina sui Nebrodi e Peloritani, Raccuia, Rometta, Castanea delle Furie, San Filippo Superiore e Saponara; . Nel Passato anche Montalbano Elicona e Antillo, nonchè Nicosia in Provincia di Enna in Provincia di Catania, Oggi solo Maletto e marginalmente a Paternò, in passato anche Bronte, questi ultimi sempre di origine malettese. E 'probabile che le ciaramelle di Maletto abbiano avuto origine Proprio da Quella zona della provincia di Messina situata fra i paesi di Rometta, Venetico e S. Martino (Spadafora) e siano giunte qua durante la seconda Metà Del Secolo XVII.
Solo in poche località della Sicilia si possono trovare ancora zampogne e zampognari in particolare nella Sicilia orientale. Strumenti e suonatori sopravvivono in diversi paesi all' interno della provincia di Messina sui Nebrodi e Peloritani, Raccuia, Rometta, Castanea delle Furie, San Filippo Superiore e Saponara; . Nel Passato anche Montalbano Elicona e Antillo, nonchè Nicosia in Provincia di Enna in Provincia di Catania, Oggi solo Maletto e marginalmente a Paternò, in passato anche Bronte, questi ultimi sempre di origine malettese. E 'probabile che le ciaramelle di Maletto abbiano avuto origine Proprio da Quella zona della provincia di Messina situata fra i paesi di Rometta, Venetico e S. Martino (Spadafora) e siano giunte qua durante la seconda Metà Del Secolo XVII.
Organologia Zampogne a paru

Zampogna a paro in legno di ulivo con ceppo in legno di gelso
La zampogna, tecnicamente "zampogna a paro" è uno strumento a fiato composto di un otre di pelle di capra e da cinque canne innestate in un manicotto. Quest'ultimo è legato all'apertura dell'otre in modo che l'aria giungendo a tutte le canne con la stessa intensità generi un suono continuo. Le canne solitamente sono di legno di sorbo, erica, pero selvatico, ulivo o nespolo, a forma di clarinetto che ha la funzione di amplificare il suono prodotto dall'ancia di canna, la quale ultima è inserita all'interno della stessa canna. Le canne del canto sono fornite di buchi digitali che permettono la produzione delle note. L'ancia di canna, a sua volta è costituita da un pezzetto di canna obliquamente tagliata vicino al nodo. La linguetta di canna così ottenuta, sollecitata dal soffio, vibra e produce il caratteristico suono. Questa ricorda " a sampugna" che è un pezzetto di stelo di grano con una linguetta tagliata obliquamente vicino al nodo. Con essa un tempo i ragazzi si divertivano a suonare per gioco.
Le canne della zampogna sono cinque ed hanno forma e dimensioni diverse.
La prima è chiamata " a canna ri sei" o "ritta", perché ha sei buchi digitali nella parte anteriore, uno nella parte posteriore e viene usato con la mano destra. Per mezzo di questa il ciaramellaro, attraverso l'occlusione o l'apertura dei vari buchi, produce le note e suona la melodia. E' per questo che si dice che tale canna fa da prima.
a seconda è "a canna di quattro" o "manca", perché ha quattro buchi e si suona con la mano sinistra. Questa serve come accompagnamento alla melodia.
La terza canna è "u bassu" che non ha buchi e produce un suono basso, emettendo una sola nota continua che fa da bordone alla melodia.
La quarta canna si chiama "quarta" e neppure essa ha buchi, fa da bordone e produce un suono un ottava più alto del basso.
La quinta canna è il "falsetto". E' molto più piccola delle altre, anch'essa fa fa bordone e produce un suono simile a quello del violino. Certe volte lo zampognaro per non affaticarsi troppo ostruisce il falsetto e il basso e non li fa suonare.
Le canne sono tutte innestate alla base del manicotto o "busciola". Questo è un manicotto di raccordo di forma tronco-conica fatto solitamente di legno di gelso o ciliegio. La parte superiore di esso è aperta e viene legata all'otre in modo che l'aria venga convogliata verso le canne. La sua base è di forma circolare ed ha cinque fori in ciascuno dei quali sono innestate le canne. L'otre della zampogna dentro cui si soffia, ha la funzione di far affluire regolarmente alle canne ad ancia che, come si è visto, sono sistemate dentro le canne del canto e quelle di bordone o accompagnamento. L'otre è di pelle di capra, pecora o agnello. la sua preparazione è piuttosto laboriosa e deve essere rinnovato ogni due tre anni. La pelle deve essere integra e deve restare sotto sale per 15 - 20 giorni, quindi tosata. Quando è asciutta viene inserito in corrispondenza della zampa anteriore destra un cannello di insufflazione consistente in un cilindretto di sambuco perforato, attraverso il quale il suonatore immette l'aria nell'otre soffiandovi dentro. In corrispondenza della zampa posteriore sinistra viene inserito un mezzo rocchetto che funge da sfiatatoio, attraverso il quale di tanto in tanto si fa defluire il vapore del fiato che si condensa dentro l'otre. L'accordatura viene fatta di solito ad orecchio, allargando o restringendo con la cera vergine i buchi digitali delle canne del canto. Anche i bordoni vengono leggermente accorciate o allungate avvitandole e svitandole un pochino, finché non risultino ben intonate con le canne che suonano la melodia.
Le canne della zampogna sono cinque ed hanno forma e dimensioni diverse.
La prima è chiamata " a canna ri sei" o "ritta", perché ha sei buchi digitali nella parte anteriore, uno nella parte posteriore e viene usato con la mano destra. Per mezzo di questa il ciaramellaro, attraverso l'occlusione o l'apertura dei vari buchi, produce le note e suona la melodia. E' per questo che si dice che tale canna fa da prima.
a seconda è "a canna di quattro" o "manca", perché ha quattro buchi e si suona con la mano sinistra. Questa serve come accompagnamento alla melodia.
La terza canna è "u bassu" che non ha buchi e produce un suono basso, emettendo una sola nota continua che fa da bordone alla melodia.
La quarta canna si chiama "quarta" e neppure essa ha buchi, fa da bordone e produce un suono un ottava più alto del basso.
La quinta canna è il "falsetto". E' molto più piccola delle altre, anch'essa fa fa bordone e produce un suono simile a quello del violino. Certe volte lo zampognaro per non affaticarsi troppo ostruisce il falsetto e il basso e non li fa suonare.
Le canne sono tutte innestate alla base del manicotto o "busciola". Questo è un manicotto di raccordo di forma tronco-conica fatto solitamente di legno di gelso o ciliegio. La parte superiore di esso è aperta e viene legata all'otre in modo che l'aria venga convogliata verso le canne. La sua base è di forma circolare ed ha cinque fori in ciascuno dei quali sono innestate le canne. L'otre della zampogna dentro cui si soffia, ha la funzione di far affluire regolarmente alle canne ad ancia che, come si è visto, sono sistemate dentro le canne del canto e quelle di bordone o accompagnamento. L'otre è di pelle di capra, pecora o agnello. la sua preparazione è piuttosto laboriosa e deve essere rinnovato ogni due tre anni. La pelle deve essere integra e deve restare sotto sale per 15 - 20 giorni, quindi tosata. Quando è asciutta viene inserito in corrispondenza della zampa anteriore destra un cannello di insufflazione consistente in un cilindretto di sambuco perforato, attraverso il quale il suonatore immette l'aria nell'otre soffiandovi dentro. In corrispondenza della zampa posteriore sinistra viene inserito un mezzo rocchetto che funge da sfiatatoio, attraverso il quale di tanto in tanto si fa defluire il vapore del fiato che si condensa dentro l'otre. L'accordatura viene fatta di solito ad orecchio, allargando o restringendo con la cera vergine i buchi digitali delle canne del canto. Anche i bordoni vengono leggermente accorciate o allungate avvitandole e svitandole un pochino, finché non risultino ben intonate con le canne che suonano la melodia.