Zampogna secolare fortemente manomessa. Fori e cameratura interna allargata, fuso della quarta sostituito con uno di manifattura diversa e il foro della campana della quarta anch'esso allargato. di Giuseppe Roberto Un insieme di credenze consolidatesi negli ultimi decenni attribuiscono virtù superiori alle zampogne antiche, rispetto agli strumenti nuovi. Innanzitutto, per un discorso legato alla materia prima, ovvero il legno. Essendo più vecchio (in molti casi superando anche il secolo di età), si crede suoni meglio rispetto a legni più giovani. Per il buon funzionamento di una zampogna, la qualità del legno non è l’unico fattore che incide e non è neanche il più importante. Un legno nuovo, che presenta qualità organolettiche idonee per essere un buon risuonatore, si palesa sin da subito come tale. Successivamente, con l’uso stabile e prolungato dello strumento, percepiamo un miglioramento ulteriore delle qualità sonore. Quindi un buon legno è tale sin da subito e se non lo è, non sarà di certo l’età a migliorarlo. L’altro grande zoccolo duro di credenze riguarda le caratteristiche estetiche: le forme della manifattura e la presenza di forti manomissioni sullo strumento sono viste come un altro segno inconfutabile di qualità. La presenza di determinate torniture indica la scuola di costruzione della zampogna e permette di risalire allo specifico costruttore, lì dove la memoria collettiva lo permette (è il caso dei mastri storici di Rometta). L’attribuzione delle zampogne a questo o a quel costruttore del passato diventa la garanzia del soddisfacimento delle proprie aspettative musicali. Con convinzione ferrea si decantano in maniera indiscussa i meriti dei costruttori del passato per quelle zampogne antiche che ancora oggi suoniamo e delle quali facciamo realizzare anche delle copie. Oltre alle forme della tornitura, le altre caratteristiche estetiche viste come segno di indiscutibile qualità sono rappresentate dalla presenza di profonde manomissioni su diverse parti dello strumento. In particolare, fori enormi scavati a coltello, nonché il taglio parziale di alcuni segmenti di fuso (i tenoni superiori, raramente quelli inferiori nei bordoni). Nella realtà dei fatti, queste ultime caratteristiche sono modifiche che lo strumento ha subito dopo essere uscito dalla bottega di costruzione, quindi non imputabili all’artigiano, modifiche amatoriali “fai da te” spesso eseguite anche a distanza di molto tempo dalla costruzione dello strumento. Queste manomissioni avvenivano nel momento in cui lo strumento nella sua forma originaria, concepita per l’uso delle ance doppie (pipite), finiva per montare delle ance semplici (zammare), con conseguente necessità di ottenere un risultato sonoro sufficientemente accettabile lì dove non vi poteva essere per natura. Quindi, nei vari tentativi fatti dai cunzatura (costruttori di ance) per far funzionare la zampogna con le zammare e per cercare di ottenere il volume e la qualità timbrica perduti, alcuni fori venivano spesso allargati a dismisura per poi essere di nuovo rimpiccioliti con la cera in superficie; venivano realizzati a volte fori di sfiato aggiuntivi oltre quelli già presenti; dopo, venivano allargate le camerature interne delle canne mastre, a volte anche molto, nella speranza di dare più volume allo strumento; i tenoni (micci) venivano variamente accorciati come abbiamo detto prima. Naturalmente a questo punto noi non abbiamo più in mano la zampogna che era stata realizzata dal costruttore: le modifiche sancivano un punto di non ritorno; se finalmente l’uso delle zammare era stato leggermente facilitato, il ritorno all’uso delle pipite risultava compromesso, nella maggior parte dei casi non più fattibile. Consideriamo quindi questo processo storico di modifica agli strumenti antichi, che hanno attraversato il ventesimo secolo per arrivare a noi. Perché si va ad attribuire il merito della presunta funzionalità della zampogna antica al costruttore originario se in realtà lo strumento ha subito successivamente profonde modifiche, diventando un’altra cosa rispetto a quello che era prima? Se da un lato è comprensibile l’attaccamento culturale e affettivo a una zampogna che ha visto trascorrere i decenni in mano ai suonatori storici delle proprie comunità, dall’altro è oggettivamente poco concreto attribuire potenzialità superiori che di fatto nel fenomeno sonoro reale non trovano riscontro e per giunta attribuendole al costruttore originario, che aveva realizzato uno strumento che suonava completamente in modo diverso da come lo facciamo suonare oggi. Anche qui dobbiamo porci la domanda se rifarci esclusivamente alla tradizione del sentito dire o cominciare a guardare alle zampogne con un approccio reale e razionale, facendoci delle domande e cercare di comprendere, vivendo personalmente l’esperienza sonora del nostro tempo senza essere più ripetitori passivi e disfunzionali di un tempo e di un’esperienza sonora vissuti da altri.
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AutoreSalvatore Tomasello Archivi
Luglio 2025
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